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TOVALIERI, IL "COBRA" MORDE ANCORA: "ANDREMO IN SERIE B"

Il suo rapporto con la città: "Non sarei mai dovuto andar via"


A Bari lo hanno chiamato “Cobra”. A Bari è stato uno degli artefici del “trenino”. A Bari ha lasciato un pezzo di cuore. A Bari torna sempre molto volentieri, anche per “delle belle mangiate di frutti di mare con Pasquale, Mino Zapparelli e compagnia”. Bari, anche recentemente, è stata la sua casa. E nel suo animo lo sarà sempre. Perché Bari gli ha dato tanto e lui ha ricambiato, a suon di gol.

Sandro Tovalieri, ancora oggi (sono passati 25 anni dalla sua ultima partita in biancorosso) è uno degli idoli incontrastati della tifoseria. Lo abbiamo sentito, da doppio ex, alla vigilia di Bari-Ternana. A Terni ha vestito la maglia delle “fere” in due momenti diversi. “Sono stato bene in tutte le piazze in cui ho giocato”, dice diplomaticamente a “La voce biancorossa”, ma in cuor suo sa che le tre stagioni nella città di San Nicola hanno un posto speciale nella sua carriera (e anche nella sua vita).

Allora Sandro, Bari-Ternana, che ci dice…

“Sfida fra due squadre importanti, costruite per il salto di categoria. La Ternana è partita alla grande ed è in testa, ma anche il Bari ha iniziato molto bene, sicuramente meglio della scorsa stagione”.

E’ vero, ma qui già si teme una nuova Reggina, la Ternana appunto…

“E’ chiaro che gli umbri vengono da una serie di vittorie consecutive e chi è alle spalle non può permettersi passi falsi”.

Come il ko di Foggia. Qui a Bari molti tifosi sono ancora arrabbiati.

“So bene cosa significa perdere un derby quando giochi nel Bari. E’ dura da digerire la sconfitta. Ma dico ai tifosi di stare vicini alla squadra, di stare calmi. A Bari c’è una società forte e seria che riporterà la squadra in B”.

Conosciemister Auteri?

“Sì e da ex attaccante mi piace perché punta su un calcio offensivo”.

A proposito di attaccanti, Antenucci?

“Un grande giocatore, basta vedere il gol alla Juve Stabia. Un professionista esemplare che si è adattato bene anche alla serie C, categoria che non c’entra nulla con lui. Certo, non basta, ma in rosa ci sono altri elementi importanti, come capitan Di Cesare, un vero leader”.

Sfogliamo l’album dei ricordi… iniziando da quell’appellativo, il “Cobra”.

“Me lo affibbiarono proprio a Bari, sono stato un centravanti da area di rigore, dove ero rapido e velenoso come un cobra”.

E la storia del “trenino” come è andata. L’ha inventato lei o Guerrero?

“Era la stagione 1994/95, eravamo in A con mister Materazzi. Un’esultanza particolare, la portò a Bari Guerrero, dalla Colombia, diciamo che l’abbiamo poi perfezionato strada facendo. Anche allenandoci”.

Addirittura…

“Certo, alla fine di ogni allenamento dedicavamo una mezzoretta ad esercitarci. Non è mica tanto facile muovere in modo sincrono braccia e gambe, stando in fila uno dietro l’altro. Comunque ricordi straordinari e pensare che ancora oggi molti tifosi lo vorrebbero rivedere per gioire dopo un gol mi mette i brividi”.

Sì , in fondo sono anche queste le cose belle del calcio. Come quel suo gesto di regalare la maglia di Maradona, legato ad un giorno straordinario per lei.

“ Il primo gol in serie A lo segnai con la maglia della squadra della mia città, la Roma e al San Paolo, contro il Napoli, davanti a 85mila spettatori. E contro Maradona, che realizzò il gol del pareggio. Per me fu incredibile. Maradona è stato il dio del calcio. Avrei potuto smettere di giocare in quel momento”.

E a fine partita cosa successe?

“Maradona mi regalò la sua maglia, ma quella mitica maglia celeste numero 10 a casa mia non è mai entrata”.

Perché?

“Vicino casa mia abitava un bambino di 8 anni, tifosissimo del Napoli e ovviamente di Maradona. Era gravemente malato. Tornando a casa, mi fermai da lui e gliela regalai. Di lì a poco quel bambino è venuto a mancare”.

Hai avuto tanti allenatori e a Bari un grande rapporto con Beppe Materazzi. Con loro il suo rapporto era schietto, diretto, Insomma, non le mandaviaa dire. Una volta hai raccontato: "L’unico che non mi ha fatto arrabbiare quando mi ha messo in panchina è stato Mazzone…".

“Sì con Carletto ho avuto un feeling straordinario. Eravamo a Cagliari, una domenica a Parma mi lasciò in panchina e io quando non ero titolare mi incazzavo sempre. Gli emiliani andarono sul 3-0 e allora il mister mi fece entrare. In pochi minuti segnai due gol, riaprendo la partita e sfiorai anche il gol del 3-3. A fine partita Mazzone andò sotto la curva dei tifosi sardi gridando: "Non capisco un cazzo come allenatore". Poi corse verso di me e ripeté il concetto, in dialetto romanesco: "Ah Cobra, c’hai n’allenatore che nun capisce ‘n cazzo". Insomma, fu l’unica volta che ho riso e che non mi sono arrabbiato per non aver giocato titolare”.

Chiudiamo tornando al Bari. Haidetto: “Non me ne sarei mai andato”. Portando la tua storia a oggi, forse sarebbe andata diversamente considerando che il potere contrattuale dei calciatori (e dei procuratori) è decisamente più elevato rispetto a quegli anni.

“Penso proprio di sì. Io a Bari avrei voluto chiudere la carriera e forse ora ne sarei un dirigente. Lo dissi in tutte le salse alla società (all’epoca guidata dai Matarrese, ndr) ma non ci fu niente da fare. Cercai di impedire la mia cessione, ma i matrimoni si fanno in due, e fui ceduto all’Atalanta per una buona cifra economica per la società biancorossa e con grande dispiacere salutai la mia Bari, i miei compagni e tanti amici”.

Pochi mesi dopo, il 5 novembre 1995, con l’Atalanta giocò da ex al San Nicola e segnò due gol…

“Sì, il secondo gol e il terzo gol. Durante il riscaldamento, mascheravo la mia emozione e quasi mi tremavano le gambe. In campo, poi, da professionista ho dato il massimo ma sia quando segnai ed a fine partita non esultai, mi sembrava il minimo per una squadra che fino a qualche mese prima sentivo mia e nella città in cui avrei voluto chiudere la carriera. Ma ricordo che quando feci gol la Curva Nord mi applaudì, così come a fine gara. Non so quante volte sia accaduto…”.

Rarissime, “Cobra”. Ricordi indelebili che resteranno per sempre nel cuore di Sandro Tovalieri e dei tifosi biancorossi.

Vito Contento

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