- nanicampione
LO STADIO SAN NICOLA E LE NOTTI MAGICHE CHE SI AVVICINANO
Trent'anni fa fu inaugurata l'astronave dei sogni di Renzo Piano. Un referendum popolare decise a chi dedicarla

Uno stadio nuovo. Una città che cresce. Una società di calcio che vuole imparare da grande. Una squadra in ascesa. Una tifoseria che sogna. Due gol al Milan. E le “notti magiche” mondiali che si avvicinano. C’è tutto in quella sera per far bene. E ci sono tutti. Perché - parafrasando Fabrizio De André - i notabili ostentano la loro presenza. Insieme ai quarantamila tifosi che affollano l’astronave dei sogni. Bari, 3 giugno, 1990. Lo stadio dedicato a San Nicola, come un referendum popolare ha scelto, s’inaugura. Benvenuti nell’astronave dei sogni. Progetto dell’architetto Renzo Piano. Realizzazione del consorzio “Barium”, un’associazione composta dalle imprese edili locali compresa la Salvatore Matarrese S.p.A. dei proprietari del club biancorosso.

PASSERELLA Quella sera, tredici giorni dopo l’addio - frettoloso e poco dignitoso - al Della Vittoria del 21 maggio con la conquista della Mitropa Cup, ci sono proprio tutti. Il sindaco Francesco De Lucia, che di lì a qualche mese lascia l’incarico a Enrico Dalfino, è orgoglioso innanzi alla magnificenza di quella che, tutti ne sono certi, non è una cattedrale nel deserto: “Qualcuno deve ricredersi perché siamo a Bari, in una città che ha tante note positive rispetto al solito Sud cui molti fanno riferimento e ironia”. Felice è Antonio Matarrese - fratello minore di Vincenzo, numero uno del Bari -, padrone di casa, presidente della Federcalcio dopo essere stato a capo della Lega e prima di scalare l’Uefa e la Fifa: “Stiamo vivendo uno di quei momenti in cui fanno sentire l’uomo più vicino all’altro uomo in un abbraccio di sincera intensità”. Anche l’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Andrea Mariano Magrassi, partecipa alla passerella con annessa benedizione: “Nello sport ci si allena all’onestà attraverso una leale competizione. Qui nel nome di San Nicola non ci siano mai nemici da battere, ma solo amici con cui gareggiare”.

SI GIOCA Sfilano tutti. Le bande musicali militari. I ragazzi delle giovanili biancorosse. Le speranze di successo che ognuno, quella sera, porta nel cuore. Scandite da sobrie e misurate fotografie-ricordo: i selfie e il cattivo gusto, almeno quello, sono molto di là da venire. Persino le bandiere con l’orribile “Ciao” tricolore, la mascotte dell’imminente Mondiale, fanno il giro del campo. Poi spazio al calcio giocato. Il tecnico biancorosso Gaetano Salvemini, molfettese di nascita e omonimo dello storico e meridionalista, fa gli onori di casa: “Questo stadio è la crescita di una città, di una società e speriamo di una squadra”. Di fronte al Bari c’è il Milan di Arrigo Sacchi, senza i big, che preparano i mondiali italici in azzurro o con l’eurOlanda. Ma i rossoneri sono pur sempre campioni continentali per il secondo anno di fila, seppur imbottiti di riserve. Se il Milan non è il vero Milan “anche il Bari non è il vero Bari” sentenzia Beppe Capano che incassa pure la fedeltà di sua maestà Giovanni Loseto, out per un intervento chirurgico, nel servizio che firma e che mamma Rai manda in onda. Mediaset, invece, trasmette l’intera gara in differita: c’è il Milan del padrone in campo… E in campo, nel primo tempo, tocca a Lorenzo Scarafoni sbloccare la gara su lancio a lunga gittata di Lorenzo Amoruso, cresciuto nel vivaio. Nella ripresa, è lo stesso Scarafoni a servire l’assist che il compagno di reparto Paolo Monelli - già con le valigie pronte destinazione Pescara - trasforma in gol dopo aver dribblato niente meno che Alessandro “Billy” Costacurta. Prima, dopo e in mezzo, Bari e Milan provano a far credere che la partita sia vera. Riuscendoci solo a sprazzi.

MONDIALE Sei giorni più tardi, il 9 giugno, l’ultima Unione sovietica - senza la scritta CCCP sulle maglie - inaugura il proprio Mondiale perdendo (0-2) con la Romania di un giovane Florin Raducioiu, che di lì a qualche settimana sbarca in biancorosso con l’abusato nomignolo di “Van Basten dei Balcani”. Una Romania che sta vivendo il difficile travaglio del passaggio dalla dittatura di Nicolae Ceausescu alla democrazia. I cui tifosi, non a caso, sono sulle tribune dell’“astronave” con le bandiere bucate al centro, perché private in modo grossolano del simbolo socialista che troppo a lungo in patria ha seminato terrore e morte. Nella creatura di Renzo Piano, “peggiorata” quanto a visibilità dal diktat del Coni di dotarla di una pista d’atletica, si susseguono durante Italia 90 il 2-1 del Camerun dell’highlander Roger Milla sulla Romania e l’inutile 4-0 dei sovietici, già eliminati, agli africani, già qualificati per gli ottavi. E ancora, nella fase senza appello, il 4-1 della Cecoslovacchia, unita per l’ultima volta in una manifestazione iridata, al sorprendente Costarica, che ha mandato a casa Scozia e Svezia piazzandosi alle spalle del Brasile. Ultimo appuntamento iridato, il meno desiderato dagli italiani, quello del terzo posto che gli azzurri conquistano il 7 luglio (2-1) a spese dell’Inghilterra. Mostrando in diretta globale gli occhi spiritati di Totò Schillaci, bomber del torneo con sei reti, e le giocate di Roberto Baggio, entrambi a segno. Tra i sudditi di sua maestà, il migliore in campo è David Platt, autore del temporaneo 1-1. Pare che proprio in quella circostanza abbia stregato Salvemini, alla cui corte – un anno più tardi – si aggrega a suon di miliardi e dopo un lungo tira e molla per “fare le veci” di Pietro Gerardo Maiellaro. L’Italia, dopo il 7 luglio 1990, torna al San Nicola per altre dieci volte, cogliendo otto successi, il pari (1-1) lippiano con l’Irlanda di Giovanni Trapattoni e il rovescio (1-3) con l’ex biancorosso Giampiero Ventura nel ruolo di c.t. con la Francia che studia da campione del mondo datato 1° settembre 2016.

DEBUTTO La prima ufficiale dei biancorossi è del 5 settembre 1990 in Coppa Italia. È 0-0 con il Messina di Igor Protti, futuro eroe biancorosso, Nicola Losacco, terzino, barese doc, e, soprattutto, Giorgio De Trizio al ritorno per la prima volta da ex - dopo nove stagioni, 273 presenze e una dozzina di gol –, liquidato nell’estate del 1989 per far posto all’impacciato argentino Nestor Gabriel Lorenzo: misteri del calcio. In campionato, il Bari debutta il 16 settembre, 96 ore dopo aver superato il Messina ai tiri di rigore (5-3) in Coppa Italia. Avversario è il Torino di Emiliano Mondonico e dell’astro nascente Gianluigi Lentini che s’illude con un gol di Luiz Antônio Correia da Costa, noto come Müller e ancor più noto per l’avvenenza della moglie Jussara, che è solita indossare abiti fasciati anche la domenica in tribuna scatenando la gelosia del consorte, assai presunto bomber. Torino avanti, quindi, ma raggiunto già nel primo tempo da un diagonale di Raducioiu e affondato al tramonto della contesa da un rigore di Sérgio Luís Donizetti, alias João Paulo, concesso per un ingenuo fallo di mano di Giuseppe Carillo.

NUMERI C’è gloria per il Bari da quel 3 giugno 1990? Ai posteri l’ardua sentenza per dirla con Alessandro Manzoni. Da allora, i biancorossi disputano trenta campionati: dieci di A, diciotto di B, uno di D e quello in corso (?) di C per un totale di 575 gare, cui si aggiungono le 93 sfide di Coppa Italia, tre spareggi di B (il playout col Venezia, i playoff con Latina e Novara) e la sfida col Picerno nella poule scudetto della scorsa stagione. Totale 622 se si considerano quelle perse a tavolino con Ascoli e Teramo nella Coppa Italia 2004. Ma ciò che Bari e il Bari sognano quella sera non è stato ancora raggiunto. Ovvero un posto stabile in Europa. Nel frattempo, mentre i sediolini da gialli e verdi diventano bianchi e rossi come le coperture in teflon, lotta in campo (forse) e fuori per risalire in B dopo il fallimento del 2018 e la ripartenza dalla D con la famiglia De Laurentis al timone. La realtà, trent’anni dopo, è questa.

GARE INTERNAZIONALI L’“astronave” di Piano ospita poco meno di un anno più tardi, il 29 maggio 1991, l’ultima (e più brutta) finale della Coppa dei Campioni - dall’anno seguente diventa Champions League - tra la Crvena Zvezda di Belgrado e l’Olympique di Marsiglia vinta ai rigori dagli slavi dopo lo 0-0 maturato nei 120’ sul campo. E ancora celebra i fasti dell’Italia Under 21 trascinata dai gol di Nicola Ventola e dai prodigi di Francesco Totti che si aggiudica l’oro ai Giochi del Mediterraneo 1997.

INGORGO Di quella sera di trent’anni fa resta ancora qualche ricordo, più o meno limpido. Come quello delle spese e delle speculazioni legate a Italia 90. Da questo punto di vista il San Nicola non fa eccezione. E costa circa venti miliardi in più rispetto al previsto. Di certo, nella memoria dei tifosi di quella sera di inizio giugno c’è l’odissea vissuta per tornare a casa. Ovvero, dice ancora Capano, “il prezzo da pagare a un ingorgo con migliaia di macchine intrappolate da una segnaletica insufficiente e sbagliata. La viabilità intorno al San Nicola non è ancora completata (…). È davvero impossibile pensare che chi ha costruito uno degli stadi più belli del mondo non possa renderlo raggiungibile. Altrimenti siamo al ridicolo”.

FINALE Di certo in pochi quella sera mentre tornano a casa bestemmiando immaginano la retrocessione in B sopraggiunta poco meno di due anni più tardi. E anticipata dallo sbarco degli albanesi a bordo della nave “Vlora”, dalla morte del d.j. Cesare Tripodo, dal rogo del teatro Petruzzelli e dalla morte del “reuccio” di Bari Vecchia, Raffaele “Faiele” Costantino, il primo a vestire l’azzurro senza aver debuttato in A, sopraggiunta a Milano giusto un anno dopo l’apertura del San Nicola… il 3 giugno 1991. Ma queste sono altre storie. Senza lieto fine.