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"LA BARI DEI BARESI", LE GESTA DI ENRICO CATUZZI RACCONTATE IN UN LIBRO

Nel volume scritto da Massimiliano Ancona la favola di mister Catuzzi che alla guida di una squadra di "illustri sconosciuti" fece parlare l'Italia del pallone


Il suo fu un Bari perdente. Si fermò a due punti dalla promozione in A. Dopo Verona, Sampdoria e Pisa. Ma fu anche un Bari tanto bello. Anzi bellissimo. Con ogni probabilità il migliore per chi ebbe la fortuna di vederlo. «Era 30 anni avanti a tutti. Fu il primo a fare la zona totale. Sacchi venne dopo» ama ancora ripetere Onofrio Loseto, uno dei suoi discepoli. Trent’anni sono troppi. Ma un lustro c’è tutto. Perché il Bari di Enrico Catuzzi, il Bari dei baresi, perché composto per oltre due terzi da elementi cresciuti nel vivaio biancorosso, fu all’alba degli anni Ottanta un’idra lanciata nello stagno del calcio italiano. Un calcio votato soprattutto al «prima non prenderle». E infatti le prendeva non appena metteva fuori il naso dai confini patri. Così fu se vi pare, ma anche se così non fosse. Perché quel Bari diede spettacolo. In casa e fuori. I panchinari della Lazio di Ilario Castagner si chiesero in dicembre quanti fossero gli avversari, vittoriosi solo per 1-0. Il patron del Rimini, Bruno Cappelli, che l’anno seguente avrebbe affidato la panchina a uno dei più assidui frequentatori delle lezioni catuzziane, Arrigo Sacchi, era certo che il Bari – in tenuta giallonera – giocasse in ventidue. E cercò conferme ai suoi vicini in tribuna. Quasi per giustificare la pochezza dei suoi, battuti sul loro campo (0-2) nella domenica di San Valentino del 1982. Il Bari di Catuzzi non vinse. Ma il suo ricordo resiste. Come certifica un recente sondaggio del sito labaricalcio.it. Il vate emiliano resta il miglior tecnico biancorosso. Dopo 38 anni. Perché non gli servì il successo per diventare immortale. Lo fu e basta. Come la Grande Ungheria negli anni Cinquanta. E quattro lustri più tardi il gioco totale dell’Olanda. Ungheria e Olanda, dunque. Sconfitte ed eterne. Già l’Olanda, la terra dove il tecnico parmense andò a indottrinarsi dopo una carriera breve e sfortunata da calciatore. Fu così che a seguito di un paio di salvezze da subentrato (a Giulio Corsini nel 1979 e a Mimmo Renna due anni più tardi), il presidente Antonio Matarrese e il d.s. Carlo Regalia - che insieme all’ex allenatore biancorosso Mario Santececca lo avevano voluto nell’estate del 1978 -, lo confermarono alla guida della prima squadra. Un po’ per vedere l’effetto che avrebbe fatto. Soprattutto perché in cassa non c’erano quattrini. E puntare sui giovani del vivaio che Catuzzi aveva portato alla conquista della Coppa Italia Primavera parve loro il modo più economico per trarsi dagl’impicci.


La campagna acquisti accentuò i dubbi. Via in quattordici dell’annata precedente. Dentro il solo Antonio Elia Acerbis, tuttocampista tecnico e forte, insieme a molti dei giovani baresi già avvezzi alla zona totale: Nicola Caricola, Giorgio De Trizio, Michele Armenise. E poi Onofrio Loseto, Giovanni Caffaro, Leonardo Bitetto, Luigi De Rosa, Luigi Nicassio, Emanuele Del Zotti, Mauro Corrieri. Chissà se ci fosse stato anche Vito Curlo come sarebbe andata. Ma il 30 giugno 1981 un incidente stradale mortale privò per sempre Catuzzi di un centrocampista d’attacco dalle qualità sopraffine. Quei giovani completarono la rosa insieme al ritrovato Angelo Frappampina, anche lui barese, ai rigenerati Angelo Venturelli, Danilo Ronzani e Carmelo La Torre, e al bomber Maurizio Iorio, finalmente felice di restare dopo un’annata, la precedente, così così. E autore di uno storico abbraccio con il tecnico dopo il rigore decisivo a spese del Perugia: uno dei suoi 18 centri. Uno in meno di Gianni De Rosa, insieme puntero scelto (19 reti) di quel torneo e meteora del calcio nostrano: ballò bene solo nella B 1981-82 prima di una fine tragica.


Ne venne fuori comunque un capolavoro. Difesa dello spazio, Movimento senza palla. Aggressione dello spazio. Ripartenze. Sovrapposizioni. Diagonali. Esterni invertiti. Difensori in linea. Fase attiva durante il non possesso di palla. Tutti concetti comuni, oggi. Allora quasi sconosciuti in un’Italia pallonara che pendeva dagli scritti di Gianni Brera e dalle labbra di Nereo Rocco e, pur con qualche innovazione, di Giovanni Trapattoni, profeti teorici (il primo) e pratici (gli altri due) della «difesa e contropiede». Lo scalpello e il martello di Catuzzi ne trassero invece un’opera di rara bellezza. Che restò incompiuta. Perché violentata da una serie indecente di sviste arbitrali: a Palermo, a Verona, a Pisa, a Varese, solo per citare le più sesquipedali, e da qualche peccato d’inesperienza in una squadra con un’età media di poco superiore ai vent’anni. Lanciata in poche settimane dal dilettantismo al professionismo. E bruciatasi in casa col Verona (1-1) e con la Sampdoria (1-2).


Fu comunque vera gloria. Per i contemporanei. E per i posteri. Soprattutto quando in novembre si aggiunsero al magistero catuzziano il portiere Bruno Fantini, l’attaccante Carlo Bresciani e l’esperta regia di Valerio Majo. Il Bari volò. E i tifosi pure. Tredici risultati utili di fila comprese cinque vittorie di seguito, oltre 600 minuti senza subire gol e tre gare da sballo: 1-0 al Perugia, 2-0 al Palermo e 0-2 a Rimini con 6.000 tifosi al seguito. A corredo di quell’annata splendida e maledetta un completo inusuale da trasferta, giallo e nero, inaugurato a Genova contro la Sampdoria (1-1) il 6 dicembre 1981 e riposto nel cassetto della leggenda dopo il k.o. (1-0), nonostante due pali colpiti, di Reggio Emilia con tanti saluti a tredici gare senza macchia.

In mezzo, però, qualcosa accadde. Matarrese salì al soglio della Lega Calcio. A nemmeno quattro anni dall’ingresso nel mondo del pallone. Troppo in fretta, probabilmente. E qualcuno volle fargliela pagare. Di sicuro gli arbitri, che furono ancor più «distratti» quando in campo c’era il Bari. In biancorosso o giallonero che fosse. Prima, dopo e durante quel campionato tante cose avvennero. In Italia. E nel mondo, diviso dalla guerra fredda e dal terrore nucleare. Ustica, Bologna, l’Irpinia, Vermicino, la P2, il terrorismo di destra e sinistra, l’attentato al papa polacco sono luoghi e vicende che scandirono quei mesi dalle nostre parti. La guerra tra Iran e Iraq, quella in Medio Oriente, quella delle Falkland e l’attentato al presidente egiziano Sadat lo fecero nel resto del globo. Gli addii di molti grandi, da Bob Marley a Rino Gaetano, da Stefania Rotolo a Eugenio Montale non fecero che rendere ancora più triste un periodo famigerato. Il cui conto è giunto sino ai giorni nostri.


Tutto questo e molto altro è contenuto nel libro «La Bari dei baresi e altre storie…», scritto da Massimiliano Ancona, giornalista della Gazzetta dello Sport, ed edito dalla WIP di Bari. Un libro totale. Come il Bari di Catuzzi, spentosi nel novembre 2006 a causa di un infarto, ma le cui vicende insieme a quelle della sua squadra erano già nella memoria di tutti gli amanti del calcio. E lì resteranno. Per sempre.

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