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  • redazione

I RITI LAICI DELLA DOMENICA PER I BARESI ALLO STADIO

Tra panini con la frittata e caffè Borghetti, le abitudini dei tifosi biancorossi

“Al barese toccagli tutto ma non la domenica con i frutti di mare e lo stadio”. Per tanti anni questo detto ha accompagnato e fatto parte del lessico, degli usi e dei costumi del barese. Il giorno della partita, rigorosamente di domenica alle 14.30, ci si incontrava nei bar, agli angoli delle strade e ognuno chiedeva all’altro: ”Ha da scì o cambe?” ….Devi andare allo stadio? Con questa domanda iniziavano i riti della giornata dedicata alla squadra del cuore. Riti nel vero senso della parola che prendevano il via verso mezzogiorno quando la moglie, allertata dal marito, era prodiga nel preparare il piatto di minestra un paio di ore prima rispetto all’orario consueto. Per non perdere più del tempo necessario a tavola, era pronto il panino ripieno con la braciola o con la frittata avvolto nella carta del pane. Poi, via di corsa allo stadio. A piedi, in macchina o sulla lambretta, oppure col mitico bus n. 5 dove sul cartello era ben descritto il percorso: “Piazza Massari – Stadio”.

Inutili le invocazioni del bigliettaio che chiedeva di pagare la corsa speciale. Il mezzo stracolmo rendeva vana qualsiasi forma di verifica da parte del controllore. Giunti allo stadio, si notava il flusso di tifosi che colorava di biancorosso la Via di Maratona e ti conducevano alle famigerate “gabbie dei leoni”, gli ingressi degli spettatori larghi non più di 60 cm. Guadagnato con non poca fatica il varco d’ingresso, ci si accingeva a percorrere a tempo di record la scalata dei gradoni alla ricerca del posto migliore anche per non vanificare il sacrificio della mogliettina che, ai fornelli dalle 11, aveva fatto in modo che arrivassi in anticipo allo stadio. E qui, uno dietro l’altro, si materializzavano una serie di riti collegati fra di loro come una catena di montaggio. Bisognava procurarsi, nelle giornate più assolate, il cosiddetto cappellino “parasole”. Assicuratosi il posto, protetto il testone dai raggi solari, bisognava ingannare il tempo attendendo l’ingresso in campo delle squadre. Perciò era la volta du “spassatìimbe”, il passatempo. Era la grande inventiva di un provetto venditore che ti proponeva, al costo di 50 lire, una bustina contenente “ciggere e semìinde”, ceci e semenze che si sgranocchiavano aspettando il calcio d’inizio. Oppure “la Gomma del ponte” lanciata sugli spalti, sempre dallo stesso imbonitore, con una perfezione millimetrica. Ma il principe dei “capi d’attesa” era, e lo è ancora, il contesissimo Caffè Borghetti. I più lungimiranti acquistavano in gruppo la bottiglia da litro per poi dividerla in piccole dosi partita per partita.



Manca poco all’inizio della partita. I raccattapalle rimuovevano, a gruppi di quattro, quella sorta di piramide in stoffa piazzata al centro del terreno di gioco che trasmetteva messaggi pubblicitari. Quello era il segnale che di lì a qualche minuto l’arbitro avrebbe dato il fischio d’inizio dell’incontro. “La Coca Cola, la bibita preferita dagli sportivi, è lieta di annunciarvi le formazioni delle squadre”. Con questo slogan dello speaker terminava tutta la fase preparatoria, dall’incontro mattutino con gli amici ai riti consumati sugli spalti. E, nello stesso tempo, dava un senso alla domenica dei baresi. In quella specie di bunker che era l’uscita dal tunnel degli spogliatoi era tutto pronto.

Direttore di gara, squadra ospite ed il Bari si apprestavano a compiere, di corsa, quei 40/50 metri che li portavano al centro del campo, al cospetto dei tifosi frementi. Le gradinate tremavano al ritmo dei cori intonati dagli Ultras. Finalmente si gioca. Bandiere, cori, bestemmie, invocazioni, preghiere … tutto pur di spingere nella porta della squadra avversaria quella sfera rotolante causa delle nostre angosce domenicali. Fine del primo tempo. Torna al centro del campo la piramide con i consigli per gli acquisti. Altro rito irrinunciabile era quello di passare da una curva all’altra. Cioè, fino a metà anni 70 all’interno degli spalti non esistevano recinzioni che dividevano i vari settori. Quindi i tifosi che al primo tempo erano dietro la porta dove attaccava il Bari, nell’intervallo facevano il mezzo giro dello stadio per andare a posizionarsi dietro l’altra porta per seguire più da vicino le azioni-gol della squadra. Veri artigiani del tifo. Altri due significativi momenti coloravano la domenica allo stadio. L’ingresso di un’appendice di spettatori che attendevano pazienti fuori in attesa dell’apertura delle porte che puntualmente avveniva nell’ultimo quarto d’ora e, cosa ancor’oggi inspiegabile, il doversi alzare tutti per seguire in piedi gli ultimi 5/10 minuti della gara. Al fischio finale dell’arbitro la domenica del barese perdeva di ogni stimolo e significato. Lo speaker, con voce sempre fresca, ti accompagnava verso l’uscita: “Se la tua squadra del cuore ha vinto brinda con Stock, se ha pareggiato o perso consolati con Stock”. Di corsa verso casa per assistere a 90’ minuto. In attesa della prossima partita in casa e della stessa domanda: “Ha da scì o cambe ?”

Michele Bonante

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